Diario di una fuori sede

Diario di una fuori sede
Matilde Bella

“Il mondo è un bel libro, ma poco serve a chi non lo sa leggere”
… affermava Carlo Goldoni qualche secolo fa, ed è una citazione che io condivido pienamente. Per questo amo scrivere sempre di qualcosa che abbia a che fare con la vita di tutti i giorni, con la quotidianità, sperando che qualcun altro possa a sua volta immedesimarsi in un mio pensiero. Così ho deciso di introdurre un argomento che sicuramente è visto dal mio punto di vista, la mia esperienza, ma credo che in tanti possano condividerlo: la vita universitaria di chi, come me, ha lasciato la sua terra con lo scopo di seguire i propri sogni. Non si realizza mai pienamente che si sta per compiere un enorme passo, più grande di quanto ci si possa aspettare, finché non ti ritrovi al gate, con la valigia in mano un po' più piena e pesante del solito e voltandoti vedi i tuoi genitori con gli occhi lucidi.
Ho capito che avrei dovuto cavarmela da sola quando, una volta di fronte ai fornelli, mi sono resa conto di non essere sicura nemmeno di riuscire a cuocere una fettina di pollo senza rischiare di far esplodere la cucina, o quando ho dovuto azionare la mia prima lavatrice e non avevo idea di che tasti premere. Ma sopratutto quando, appena dopo qualche giorno dalla prima spesa, ho aperto le ante della dispensa e ho realizzato che la pasta e i biscotti non appaiono magicamente fra gli scaffali della cucina: prima o poi finiscono. Così mi sono vestita e sono tornata per la seconda volta alla Coop, alle nove del mattino, distrutta dalla fame perché no, quella mattina non avevo sufficiente roba da mangiare per colazione: solo un sorso di latte e due biscotti mezzo sbriciolati, rimasti dal giorno prima. Niente a che vedere con il caffè latte e i toast caldi e croccanti con burro e marmellata che trovavo già pronti sul tavolo, prima di andare al liceo.
Per non parlare delle prime bollette, ormai ho delle poste di fiducia, dove una delle impiegate mi riconosce e mi saluta sempre con un sorriso ironico, consapevole del fatto che anche stavolta troverà le buste delle bollette piene di conti scritti a mano, fatti da me e dalle mie coinquiline. E mancherà comunque sempre un euro, o forse ne avanzeranno due.
Vivo a Pisa, è una città universitaria sotto tutti gli aspetti e devo dire che abbiamo un rapporto di amore e odio. “Amore” perché trovo l'Arno -sopratutto di notte- affascinante e romantico, e mi piace approfittare di quelle sporadiche giornate di sole per andare a studiare nel prato di Piazza Dei Miracoli, con le mie amiche. Pisa è più piccola di quanto mi aspettassi ma è davvero molto graziosa. Non a caso, Leopardi recitava:
“L’aspetto di Pisa mi piace assai, più di quel di Firenze. Questo lungarno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente che innamora”. … E odio perché sono sarda e mi manca il sole, il caldo e soprattutto il mare a due passi.
Eppure incominci presto a sentirla un po' tua. Ti senti a casa quando “scendi” per le vacanze e ritorni nella tua amata terra, ma ti senti a casa anche quando “sali” e sai che le tue amiche -alcune pisane, altre magari “terrone” come te-, ti aspettano. Con le fuori sede, instauri un rapporto di empatia, capiscono cosa significa quando ti giustifichi del fatto che tarderai a uscire il venerdì pomeriggio perché è il tuo turno delle pulizie o che stavolta in pausa pranzo non potrai prendere il caffè con loro, perché devi correre alle poste.
Da poco mi è successa una cosa, una cosa da niente ma che mi ha fatto pensare a quanto la vita di un fuori sede possa essere così particolare, diversa. Pochi giorni fa ho sostenuto un esame, non è andato proprio come mi aspettassi. L'ho passato eh, ma non con il voto che pensavo di meritare. Ad aggiungersi alla piccola delusione, il fatto che fino alla sera precedente, ero proprio a casa mia, in Sardegna ed ero tornata a Pisa proprio per dare quell'esame.
Ho passato l'intera mattinata accasciata in terra, nei corridoi, in attesa del mio turno con una mia collega -anche lei aspettava il suo- e una volta terminato erano quasi le tre.
Se fossi stata a Cagliari sarei corsa a casa, dove mi avrebbero aspettato i miei genitori, affamati a causa del ritardo, e sicuramente mi sarei sfogata con loro, di fronte a uno dei piatti squisiti che mio padre -da siciliano che si rispetti- sa cucinare. Si, sono metà sarda e metà siciliana: la terrona DOC, insomma. Invece, ero tornata a Pisa soltanto la notte precedente, avevo la dispensa completamente vuota e la mensa universitaria era sicuramente già chiusa. Io e la mia collega -fuori sede come me-, abbiamo optato per una piadina e quattro chiacchiere: abbiamo parlato di tutto tranne che dell'esame.
Una volta tornata a casa sapevo che avrei trovato a casa la mia coinquilina, che ormai dopo due anni e mezzo di convivenza è come una sorella. Mi capisce senza bisogno che le dica niente e mi coccola come una madre, preparandomi una spremuta di arance o entrando in camera con il vassoio con sopra delle ciotole contenenti un po' di frutta già tagliata, dopo essersi lamentata del fatto che mangio sempre troppo male.
Aggiungerei che sono una gran paurosa, è stato difficile abituarmi a dormire in una casa che non è la mia, sopratutto quando sapevo che le mie coinquiline non sarebbero tornate per la notte. Così fin dalla prima volta che mi è capitato, ho imparato ad adottare un metodo: lasciavo la serranda sempre aperta per metà, per far penetrare un po' di luce, e così facendo ho notato che nel palazzo di fronte, una famiglia stava guardando un film in salotto, accomodata sui divani -ammetto di aver sbirciato un po'-. Ho avuto un flashback pensando a tutte le volte che facevo lo stesso con i miei genitori, così mi sono infilata sotto le coperte con quella finestra illuminata davanti alla mia e mi sono sentita un po' più a casa.
In ogni caso, mi sento molto fortunata perché ho un complice in questo mio “viaggio”, un fidanzato dolce, paziente e sempre disponibile a venirmi incontro e aiutarmi quando ne ho bisogno. Lascia tutto per correre da me quando sto male e penso di avere la febbre, quando mi sento un po' triste e nostalgica, ma anche soltanto quando mi lamento del fatto che ho terminato le bottiglie d'acqua ed è troppo pesante, per me, portarle a piedi o in bicicletta dalla Coop a casa mia.
È rassicurante sapere di avere una persona al tuo fianco, una colonna portante, che quando vacilli un po' e senti che stai per cadere, ti rimette in piedi e ti sostiene fin quando non è sicuro che riesci di nuovo a reggerti sulle tue gambe. Mi sento a casa quando la notte, dopo una giornata stressante all'insegna delle lezioni e dei mille impegni, viene a trovarmi e mi stringe a sé. È il momento in cui realizzo che anche un altro giorno, in un modo o nell'altro è passato, e l'indomani non è ancora una mia preoccupazione. Non bisogna vivere la vita da fuori sede come un passaggio, un qualcosa che un domani ricorderai con un sorriso, qualche foto e nient'altro.
La vita da fuori sede è un mondo a sé, una realtà che si insedia nella tua vita e ti forma, ti cambia, ti fa maturare. Ne uscirai sicuramente diverso e sta a te scegliere se arrenderti alle difficoltà e gettare la spugna o rimboccarti le maniche e uscirne più forte.